-Così la presi nel 2014 per la mia riabilitazione del ginocchio sinistro dopo la rottura del menisco in Australia. Dopo l'operazione mi trovavo a casa con mia mamma sul lago di Garda per la mia riabilitazione, una riabilitazione lenta, a testa bassa, in ogni pedalata c’era l’assoluto ascolto di ogni movimento del ginocchio. Una riabilitazione premurosa, al solo scopo di sistemare le cose, per tornare ad arrampicare meglio di prima. Una riabilitazione così attenta al respiro che un giorno mi fecero notare il profumo del vento, così attento alle movenze del mio corpo che un giorno mi fece notare il colore unico del paesaggio, così attento a fare le pause giuste che mi fece notare l’importanza di ogni singolo attimo, così attento a cercare il rapporto giusto della bicicletta che un giorno mi fece notare che avevo trovato il rapporto giusto con me stesso. Ogni singolo movimento destinato alla mia riabilitazione inaspettatamente ha riequilibrato il movimento tra me, le mie emozioni, i miei rapporti. Questo periodo mi rese partecipe e consapevole della mia vita; sai come la più giusta e completa pioggia che un terreno arido di lotte perse, desolato e ancora fumante aspettasse? E nella parte più lontana di questo terreno, c’era racchiusa la speranza di questa meravigliosa pioggia.
"Piano piano e dolcemente questo deserto incominciò a inumidirsi, le crepa di varie forme geometrica iniziarono ad unirsi, a diventare parte di un'insieme che si rafforza silenziosamente sino a mostrarsi per la sua verità di terreno buono per gli altri, terreno che di nuovo diventa fertile. Intanto nel sacro luogo in cui ognuno di noi giace, i battiti del cuore cominciano a far affiorare le vibrazioni che si estero in tutta la materia e mossero i suoi più grandi valori e i principi,forgiarono la sua esistenza, si espansero in quel corpo ormai solido".
Ecco che i primi animali mi fecero visita nelle mie notti passate in tenda, i regali più significativi che la terra potesse regalare, i grandi insegnamenti di umiltà che la terra potesse regalare. Le montagne incominciarono a essere non più contorni di me, ma a essere parte di me. I punti che ad occhio nudo non potevo neanche vedere, diventarono punti dove mettere la tenda, preparare da mangiare, ascoltare il loro magico silenzio, aspettando uno dei cieli più dettagliati e luminosi che potessi trovare, oppure uno dei più bui. Con le albe e i tramonti incominciavo a vivere, seduto lì con le gambe incrociate, con il suono del mio compagno fornello che mi scaldava l'acqua, con il vento che passava tra occhi e zigomi creandomi un sorriso spontaneo. Quel vento di cui mi sono innamorato: lui che nelle giornate più calde mi rinfresca, lui che mi accompagna sui passi più duri portandomi verso l'alto, lui che mi soffia contro portando alluvioni, freddo, cecità, senza smettere di essere amato. Le montagne piano piano si allontanarono e incominciai a passare nelle grandi città, dove l'uomo aveva seccato quella parte naturale, dove il metallo e il fuoco avevano fatto crescere un mondo a parte rispetto a quello che io stavo sperimentando.
Gli occhi e il corpo mi avvertivano alla prossimità di una città, vidi delle persone tristi, alla ricerca di qualcosa interrottamente sulla stessa direzione, come la più grande corsa alla vita. Qui ancora una corsa al successo così materiale, dimenticando la nostra umanità, seguendo un successo finto. Me le immaginavo delle maschere luminose, ben definite e dietro di sé un povero corpo massacrato, distrutto dalle totali accettazioni di scelte non proprio. Il peso di questo bagaglio e il prezzo della luminosa e sonora macchina che lentamente ti portava via dal corpo. I rumori della città nascondevano i più grandi suoni che la terra sapesse emanare e i grandi silenzi che questo mondo sa fare. Provavo compassione nei vicoli vissuti quotidianamente da anime prive di ogni forma materiale, vivevano lì su cartoni e coperte ammucchiate. Stavo vivendo una serie di cambiamenti con questo meraviglia di acciaio, mi stava portando a vivere tutte le più sottili forme di semplicità. Mi fermai con qualcuno di loro, portandogli da mangiare e con qualcun' altro ci scambia due chiacchiere in più, lui mi disse: “Sono felice” e in quel momento mi rese così felice... Ecco che arrivai al mare e all'oceano, mi sedetti lì sulla spiaggia dove c’erano le risacche così calme, il tramonto era in arrivo, il giusto tempo di sganciare i pedali, lasciare i piedi respirare, sedersi, scaldare l'acqua per il tè e sorridere. Da quel momento io mi vedo come il più grande albero che non smette mai di aspirare alla salita e alla profondità. E l’unione di tali consapevolezze sono il mio nutrimento. Mi porta in vallate, dai colori e profumi magnifici, mi porta sensazioni che lucidano la mia vista con lacrime di un essere spontaneo e soddisfatto delle proprio azioni, mi porta un corpo diventato parte di questa meravigliosa danza di elementi, di cui non posso più ignorare la maestosità.
Questo per me è la bicicletta, uno stile di vita, un insieme di diverse culture, emozioni, sforzi, traguardi, una filosofia del contatto più sottile con la natura e con l’immenso che posso essere.